VARIABILITÀ INTERETNICA NELLA RISPOSTA AI NEUROLETTICI ED AGLI ANTIDEPRESSIVI

Tale lavoro rappresenta un ulteriore tentativo di comprendere l’effetto degli psicofarmaci in relazione a numerosi fattori molto spesso sottovalutati: genetici, metabolici e culturali.
Ancora una volta risulta evidente che il neurofarmaco (dizione che a me sembra più corretta rispetto a quella di psicofarmaco) non è assolutamente un fattore indipendente, ma una variabile dipendente. Ed è importante tener conto di questa constatazione sia sul piano epistemologico, volto alla comprensione degli effetti di tali farmaci e della conseguente, spesso riduttiva, deduzione del funzionamento della mente, che sul piano più strettamente clinico.
La letteratura scientifica sull’etnofarmacologia è cospicua. Già nel 1969, Murphy, un pioniere della psichiatria transculturale, aveva rilevato differenze etniche nella risposta ai farmaci psicotropi. Più recentemente gli studi a riguardo hanno seguito diverse linee di indagine: da una parte si ritrova un grande interesse per il substrato biologico e genetico delle differenze interetniche, dall’altra si evidenzia l’importanza dei fattori culturali sull’effetto del trattamento psicofarmacologico.
Nella comparazione tra i vari gruppi etnici risulta quindi importante considerare trasversalmente tutti questi fattori, in maniera tale che l’indagine medica e la lettura clinica non portino a facili conclusioni solo perché investiti da una metodologia oggettivizzante di facciata.

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