"L'opera di Janet può essere paragonata ad una grande città sepolta sotto le ceneri, come Pompei. Il destino di una città sepolta è incerto: può restare sepolta per sempre; può rimanere nascosta ed essere saccheggiata dal predoni. Ma è anche possibile che un giorno sia dissotterrata e riportata in vita.
E così, mentre su Janet cadeva il velo di Lesmosine, sul suo grande rivale, Sigmund Freud, si alzava il velo di Mnemosine".
È quanto affermava nel 1970, con amarezza e forse con tristezza, H. Ellenberger: ma negli ultimi due decenni la ruota della storia, in una sorta di nemesi benigna, sembra aver invertito il proprio corso. E quanto H. Ellenberger si augurava, ma non osava sperare, sta avvenendo: la riscoperta di quel Janet saccheggiato, negato, obliato per cause diverse che H. Ellenberger ravvede in tre motivi fondamentali.
Il primo è legato al carattere di Janet, timido, introverso, poco combattivo. In effetti un uomo che pur considerato, appena trentenne, un maestro, non volle mai avere discepoli, non volle fondare scuole, non riconobbe mai alcuna autorità che non fosse quella della propria onestà intellettuale. Un maestro che a 83 anni diventa allievo del suo allievo J. Delay di cui frequenta, nel 1943, le lezioni con assiduità e segue con entusiasmo questa nuova psichiatria che, pur muovendosi con diversi strumenti e metodologie, riconosce un debito nei confronti dell'anziano Maestro. Non a caso J. Delay, proprio adottando un concetto fondamentale di Janet, quello di "tensione psicologica", classificherà i farmaci psicotropi in "psicolettici", "psicoanalettici", e "psicodislettici".
Un secondo motivo è l'attacco violento da parte della cultura cattolica dopo la pubblicazione del libro De l'angoisse à l'éxtase. Il caso Madeleine che Janet segue per decenni per comprendere, laico e scienziato, la dinamica dell'estasi religiosa e della religione come fenomeno umano spiegabile e comunque non esclusivo campo di studio dei teologi.
Un terzo motivo è l'attacco infido, senza esclusione di colpi, da parte di Freud e dei suoi seguaci che in tutti i modi, anche falsificando i fatti e la cronologia, cercheranno di denigrare Janet e la sua opera.
Fin qui H, Ellenberger.
Io credo necessario aggiungere un quarto motivo, forse il più importante, come è ampiamente dimostrato dalla riscoperta di Janet che avviene in stretta correlazione con la messa in discussione prima, la caduta poi, dell'edificio metapsicologico freudiano: quanto più questo è risultato essere falsificante e dogmatico, tanto più sono riemerse e riconosciute alcune delle più importanti intuizioni del clinico francese.
Ritengo che il dominio della cultura freudiana, lungo tutto l'arco dei primi 70 anni del '900, sia legato fondamentalmente al fatto che la psicoanalisi è una antropologia negativa che, concettualizzando l'uomo come congenitamente perverso e pazzo, propone la naturale necessità del controllo. Ideologia che servirà da supporto "scientifico" alle varie ideologie dogmatiche e totalitarie che sul controllo dell'uomo hanno fondato il loro dominio.
In questo panorama, la visione illuminata (forse un po' illuministica) di Janet che considerava l'uomo fondamentalmente sano o comunque curabile, ovviamente non aveva diritto di cittadinanza.
L'interessante intuizione di Hellenberger, anche se non esplicitata completamente, è quella di collegare Janet a Freud: e su questo collegamento baserò l'esposizione del pensiero di Janet, del suo scontro con Freud e seguaci, delle cause dell'oblio e dell'attuale riscoperta.
Riscoperta di un pensiero che, seppur con i limiti segnati dal tempo, ricollegando storicamente la sua ricerca con le scoperte empiriche dei magnetizzatori che avevano intuito nell'atto terapeutico l'importanza del "rapporto", risolve quella cesura, storica e culturale, operata dalla psicoanalisi che ha basato invece l'atto terapeutico sulla neutralità-indifferenza del terapeuta stesso.
Debbo subito precisare che è impossibile fornire una panoramica completa dell'opera dì Janet, che si snoda nell'arco di oltre 50 anni durante i quali egli pubblica, modifica, amplia quel sistema di ricerca da lui definito "analisi psicologica".
Pertanto ritengo utile proporre, per il momento, solo un periodo: quello che può essere definito del primo Janet, dal 1886 al 1905, e che verrà riproposto con la traduzione di alcuni brani essenziali tratti appunto dalle opere di quegli anni.
Pierre Janet, nato a Parigi nel 1859, vi muore nel 1947 dopo un'intera vita dedicata alla ricerca. Ricerca che, nata dagli iniziali studi di filosofia, attraverso un itinerario rigoroso e coerente approderà a quelli di medicina: e non è un caso che due dei suoi familiari più famosi sono lo zio Paul, filosofo, ed il fratello Jules, specialista di urologia che si occuperà e collaborerà con il fratello per studiare, mediante l'ipnosi, disturbi che potremmo oggi definire di natura psicosomatica.
A Le Havre, ove insegna filosofia, Janet incomincia ad interessarsi all'ipnosi: dopo lo studio di Léonie, che gli creerà non pochi problemi, egli prenderà in cura una ragazza di 19 anni soggetta ad attacchi di panico senza alcun apparente motivo. Mediante la scrittura automatica egli scoprì che durante gli accessi di terrore compariva una seconda personalità, Adrienne, che rivelò il motivo degli attacchi. Quando ella aveva 7 anni, due uomini, nascondendosi dietro una tenda, l'avevano fortemente spaventata.
Il ricordo di questo episodio comportò la scomparsa dei sintomi: il caso pubblicato nel 1886 evidenzia sia la catarsi come meccanismo curativo, sia l'importanza del rapporto che si stabilisce tra ipnotizzatore e paziente.
Queste ed altre ricerche costituiscono la base del suo primo famoso libro, L'automatisme psychologique, del 1889. Nello stesso anno egli si trasferisce a Parigi ed inizia gli studi di medicina, laureandosi nel 1893. Questo passaggio dalla filosofia alla medicina costituisce un punto centrale per lo sviluppo del pensiero di Janet. Egli infatti comprende che deve apprendere un metodo scientifico non solo per proseguire le proprie ricerche, ma soprattutto per dare alle sue osservazioni un solido terreno sperimentale come stava avvenendo nel campo medico con l'innovativa teorizzazione di C. Bernard.
Sicuramente il pensiero di C. Bernard creerà non solo una medicina scientifica e sperimentale, ma influenzerà anche la neurologia e la nascente psicologia, che proprio in questo modo si distaccherà dalla filosofia acquisendo un proprio specifico statuto.
Con l'opera Introduction à l'étude de la médecine expérimentale C. Bernard postula non solo che c'è continuità fra fisiologia e patologia, ma che la malattia è l'espressione quantitativa di un'alterazione del naturale equilibrio delle forze in campo.
Nasce così il concetto, se non nuovo, certamente fondato di fisiopatologia, concetto che segnerà non solo la medicina, ma anche lo studio dei disturbi mentali, proponendo una nuova psichiatria in netto contrasto con quella psichiatria egemone in altri paesi europei che, basata sulla ricerca anatomo?patologica, proponeva la degenerazione come causa del disturbo mentale.
Ma oltre l'influenza di C. Bernard bisogna tener presente che in Francia si era mantenuto vivo l'interesse per l'ipnotismo, soprattutto per merito della scuola di Nancy: quell'ipnotismo che invece, trasformato in fenomeno da baraccone, era caduto in tale discredito che nessuno scienziato si sarebbe sentito in grado di difenderlo. E non è un caso che proprio in Francia il maggior neurologo del momento, J.M. Charchot, con la relazione nel 1882 all'Académie des Sciences, ridarà dignità scientifica all'ipnotismo.
Questo mutato atteggiamento nei confronti dell'ipnotismo apre sicuramente la strada ad una concezione dinamica della psicopatologia.
Seguendo questo filone, P. Janet non solo sarà uno storico attento ed accurato dei magnetizzatori e degli ipnotisti, ai quali riconoscerà ampiamente il suo debito intellettuale, ma utilizzerà questo metodo in modo accurato e scientifico, proponendolo non solo come metodo d'indagine della psicologia e del disturbo mentale, come aveva fatto a Le Havre dove si era dovuto limitare, essendo solo un filosofo, esclusivamente alla ricerca, ma anche come metodo terapeutico, dopo aver conseguito la laurea in medicina.
Sicuramente P. Janet può essere considerato il vero iniziatore della psichiatria dinamica.
A Parigi inoltre avrà modo di incontrare numerosi studiosi che, seppur con diverse metodologie, hanno lo stesso scopo di dare alla psicologia uno statuto scientifico: tra questi in particolare T. Ribot ed A. Binet.
T. Ribot propone una metodologia empirica, ma scientificamente valutabile delle funzioni psichiche. Le funzioni psichiche sono individuate a partire dalla patologia che, essendo una regressione del normale sviluppo psichico evidenzia, per contrasto, quale dovrebbe essere la dinamica del normale sviluppo. L'attenzione, la volontà, la memoria (ancora valida oggi la legge di Ribot sulla dissoluzione della memoria) sono attentamente studiate e descritte: tesi ampiamente conosciute ed apprezzate da Janet che, chiamato nel 1902 a sostituire proprio T. Ribot nell'insegnamento di Psicologia Sperimentale al Collège de France, applicherà questa metodologia, ad un tempo soggettiva ed oggettiva, analitica e sintetica, allo studio dei numerosi casi clinici di cui egli si prenderà sempre cura oltre che curare. Casi clinici che in prevalenza provenivano dal proletariato urbano e presentavano patologle spesso molto gravi.
Nel pensiero e nella prassi di P. Janet confluiranno sempre le due discipline: filosofia e medicina. E da questa sintesi nascerà la sua "analisi psicologica".
Sicuramente Maine de Biran con la sua costruzione teorica della mente umana influenza Janet e molti altri psichiatri francesi: primo fra tutti quel Moreau de Tours (molto citato da Janet) che primo arrivò a postulare il sogno come chiave di lettura per la conoscenza della malattia mentale. Maine de Biran considerava lo sforzo e la volontà come fatti fondamentali dell'uomo: la coscienza è la consapevolezza di questo sforzo che solleva la mente dalle sensazioni alla percezione, fino alle più complesse operazioni mentali. L'indebolimento di questo sforzo è la causa di quella regressione che si evidenzia come patologia mentale: "L'allucinazione ed il delirio si verificano per un graduale indebolimento del libero arbitrio, della capacità di fissare e coordinare le idee". Janet, che definì questa come "la legge fondamentale di Morcau de Tours della vita psichica", l'adottò e l'ampliò nel suo sistema, definendola più accuratamente come tensione psicologica e "fonction du réel". Non meno significativa sarà, come vedremo, l'influenza di un altro grande filosofo, suo contemporaneo ed amico: H. Bergson.
Senza voler anticipare il rapporto con Freud, sicuramente possiamo affermare che, mentre P. Janet fu un filosofo che diventò medico per capire e curare, S. Freud fu un medico che cercò di essere filosofo e certamente con risultati ben modesti.
Le prime teorizzazioni di Janet sono riscontrabili nel testo L'automatisme psychológique, frutto del lungo apprendistato a Le Havre, che si basa sullo studio, tramite l'ipnosi e la scrittura automatica, di quattordici isteriche, cinque isterici ed otto psicotici ed epilettici.
L'osservazione di Léonie, ipnotizzata già qualche decennio prima, lo aiutò a riscoprire le interessanti intuizioni degli ipnotizzatori che lo avevano preceduto e sui quali era caduto, ingiustamente, l'oblio.
L'automatismo psicologico è costituito da due stati: uno totale che riguarda il soggetto globalmente (e che si identifica con la catalessia ed il sonnambulismo) e l'altro parziale che si manifesta fondamentalmente come scrittura automatica, stati di assenza mentale e soprattutto come suggestione post?ipnotica. La spiegazione di questo fenomeno porterà Janet a formulare il concetto di subconscio e di "désagrégation psychologique" che sarà successivamente ripreso da H. Jackson come dissoluzione gerarchica delle funzioni e da H. Ey nella teoria dell'organo?dinamismo, e che ritornerà in voga nella psichiatria odierna per spiegare il fenomeno della Personalità Multipla.
I punti salienti di quest'opera possono così riassumersi. Alla base del funzionamento psichico c'è una forza che tende a svilupparsi come movimento e sintesi delle funzioni psichiche. Quando questa forza diminuisce si evidenzia una debolezza psicologica (che egli per primo denomina "misère psychologique") che comporta la scissione di significativi eventi esistenziali che diventano così subconsci. Ma soprattutto egli evidenzia due fatti fondamentali. Il primo è che molti sintomi dell'isteria sono dovuti alla presenza di frammenti scissi della personalità (idee fisse subconsce) che hanno origine da eventi traumatici del passato: con l'ipnosi è possibile risalire e scoprire tali sistemi psicologici subconsci.
Il secondo è che il "rapporto" tra ipnotizzatore e paziente è fondamentale ed è raffigurabile come una sorta di scotoma del paziente sulla realtà circostante, che lo induce a incentrare tutta la sua attenzione sulla figura del medico.
Nel 1889 quindi il subconscio (come scissione di eventi traumatici del passato), l'importanza terapeutica del recupero di questi frammenti subconsci e la significatività della figura dell'ipnotizzatore e del particolare modello di rapporto che si stabilisce tra i due, sono concetti chiaramente enunciati e definiti.
Questa opera fece considerareJanet come un maestro di filosofia e di psicologia.
Janet proseguì il lavoro di ricerca e di studio dopo il suo trasferimento a Parigi. Purtroppo il suo lavoro, dapprima favorito da Charcot e successivamente da Raymond, fu in seguito fortemente ostacolato.
Uno dei primi e più interessanti casi studiati alla Salpétrière fu Marcelle, una giovane ventenne che presentava gravi disturbi: incoordinazione della deambulazione, deficit vistosi della memoria, confusione del pensiero, abulia totale.
Come avvicinare una paziente spesso confusa, allucinata e con una memoria vaga e totalmente assente degli ultimi anni? Unica possibilità era l'osservazione diretta della paziente analizzando tutto ciò che si poteva evidenziare: dai comportamenti alle parole, dai sintomi alle specifiche funzioni alterate.
Questa è "l'analisi psicologica", che deve essere però seguita da una sintesi, ovverossia dalla ricostruzione della biografia con gli eventi traumatici e significativi della vita della paziente.
In questo lungo, faticoso, iterativo lavoro si mostra tutta l'ingegnosità di Janet nello scoprire e mettere in atto una serie di espedienti che permettono di aggirare l'ostacolo: ovvero quelle che, successivamente, saranno definite come le resistenze del paziente. Basta leggere i casi clinici di Janet (e qui rimandiamo rispettivamente a quelli di Irène e di Achille) per comprendere l'inventiva, la fantasia, l'interesse diJanet; atteggiamento ben diverso da quello del suo antagonista Freud, che aspettava "con le libere associazioni" che fosse il paziente a cavargli le castagne dal fuoco. In questo contesto Janet propone un concetto che ritengo molto importante ed attuale: che la patologia possa alimentare se stessa. " ... le idee fisse subconsce sono sia la conseguenza della debolezza mentale, sia la fonte di debolezza mentale ulteriore e peggiore".
Con le due opere successive, Névroses et idées fixes e Les obsessions et la psychasténìe, Janet cerca di porre ordine nel campo delle nevrosi, elaborando una serie di concetti teorici di estrema importanza che cercherò brevemente di elencare.
Fra coscienza ed idee subconsce c'è una serie di gradi intermedi che debbono essere ripercorsi ed evidenziati in senso inverso alla loro formazione. Le idee subconsce sono causate da eventi traumatici che diventano ricordi "dimenticati" (ma Janet tende a precisare che "nella mente umana nulla va perduto") a causa di un restringimento del campo di coscienza. Tale restringimento è legato ad una diminuzione della tensione psicologica che a sua volta può essere causa di una ulteriore debolezza mentale. Le idee subconsce sono caratteristiche dell'isteria: ma non è sempre facile rilevarle ed identificarle. Spesso le crisi isteriche "sono recitazioni mascherate dell'idea fissa subconscia", a differenza delle nevrosi ossessive ove invece le idee fisse sono coscienti. Il concetto di tensione psicologica, la cui caduta è causa di malattia mentale, nella psicoastenia si evidenzia in modo netto e chiaro con la progressiva caduta dei vari livelli di gerarchia della mente. È sulla base di queste nozioni fondamentali che Janet nel tempo svilupperà quella che H. Ellenberger chiamerà "la grande sintesi" e che viene, sinteticamente, proposta già in Les obsessions et la psychasténie del 1903 (vedi capitolo 7).
In questa sede mi sembra utile sottolineare l'importanza del concetto di "fonction du réel" inteso come il rapporto più elevato e complesso di conoscenza e di contatto con la realtà.
Nella gerarchia dei livelli psicologici egli individua come massimo livello di evoluzione la capacità di una condotta individuale e creativa. A questo livello l'uomo, nel realizzare la propria unicità, riconosce anche l'individualità dell'altro, del socius, con cui stabilisce un rapporto di profonda intimità.
Questo livello, come quello dell'evoluzione in generale, è in continua espansione, e citando il Bergson della Èvolution créatrice, dirà: "l'evoluzione non è finita e l'azione umana è stata e sarà fonte di meraviglia".
Tutto questo che derivava dall'attenta osservazione di pazienti era finalizzato a mettere a punto un modello operativo di terapia sempre più efficace ed efficiente. Certamente la concezione della terapia di Janet può sembrare oggi piuttosto semplicistica. Egli ritiene che sicuramente gran parte della terapia consista nel portare alla coscienza le idee subconsce. Ma egli è consapevole (a differenza di Freud che sosteneva base della terapia portare l'Io dove c'era l'Es) che la conoscenza non è sufficiente: si rischia, a volte, di trasformare un isterico in un ossessivo: cioè l'idea fissa, diventata cosciente, non risolve il problema. È necessario eliminare o trasformare queste idee fisse subconsce, integrandole nella complessità e globalità della persona. Ma per fare questo è spesso necessario un'opera di rieducazione resa possibile da quel "bisogno di direzione" che i pazienti normalmente presentano e che può definirsi analogo al concetto di transfert positivo.
Si è spesso parlato della psicoterapia di Janet come di un modello pedagogico?direttivo: in realtà Janet, ben consapevole della dipendenza che si creava nel paziente nei confronti del terapeuta, cercava di limitare al massimo questa regressione. Potremmo dire che in effetti egli si poneva come una sorta di Io?ausiliare o di Super?Io benevolo: può sembrare poco, ma la psicoanalisi non è andata certo oltre questo livello. Basta rileggere tutta la letteratura psicoanalitica sul concetto di cura ? da Freud agli epigoni ? per rendersi conto che seppur con motivazioni e spiegazioni complesse la modalità operativa, nel migliore dei casi, era la stessa cosa; nel peggiore si tendeva ad aumentare la regressione e la dipendenza del paziente.
Ma se la prassi terapeutica di Janet può sembrare troppo riduttiva, bisogna tener conto di due aspetti fondamentali della terapia.
Il primo è l'importanza che Janet dà al "rapporto", che considera il vero fattore della cura.
Il secondo è che l'obbiettivo fondamentale è raggiungere un reale processo di miglioramento o di guarigione adottando qualsiasi sistema: in questo senso egli propone un metodo flessibile e soprattutto individualizzato, tanto da far definire il metodo di Janet come "un sistema generale di economia psicoterapeutica".
Il confronto e lo scontro tra Janet e Freud avviene, come vedremo, a diversi livelli. Ma se volessimo fissare in una immagine la profonda diversità tra questi personaggi basti pensare a un Janet che a 83 anni frequenta, come uno scolaro entusiasta, le lezioni di J. Delay, e ad un Freud che alla stessa età di Janet rifiuta di vederlo quando questi, in visita a Vienna, esprime il desiderio di salutarlo. La vecchiaia non aveva reso né più saggio, né più critico Freud nei confronti dei suoi errori, dei suoi attacchi, delle sue mistificazioni contro Janet.
L'attrito evidenziatosi durante il congresso di medicina del 1913 a Parigi aveva radici antiche e legate sopratutto al problema della priorità della scoperta del subconscio. In questa occasione, nella sua relazione sulla psicoanalisi, Janet aveva semplicemente rivendicato la priorità della scoperta del trattamento catartico per la cura delle nevrosi ed aveva manifestato perplessità per un sistema, la psicoanalisi, che egli giudicava "metafisico".
L'attacco dei freudiani fu come al solito violento e negante, fino ad arrivare a ribaltare la realtà, accusando Janet di plagio.
È su questo punto credo che i documenti e le date parlino chiaramente.
Nell'apprendistato di Le Havre (dal 1882 al 1888), Janet, anche sulla base della rivalutazione dell'ipnosi operata da Charcot, aveva iniziato i suoi primi studi con alcuni pazienti, ed aveva evidenziato numerosi fenomeni tra i quali fondamentale quello delle idee fisse subconsce, termine adottato per sottolineare la genesi clinica di questo fenomeno e differenziarlo dal termine di inconscio, coniato da von Hartmann, molto in voga in quel periodo, che aveva però una genesi speculativa ed un significato metafisico.
Nel 1886 Janet, ormai già noto come studioso, pubblica il caso Lucie ove propone la possibilità di curare i disturbi isterici scoprendo e portando alla coscienza le idee fisse subconsce. Freud si reca a Parigi tra la fine del 1885 e gli inizi del 1886, ed è in questo periodo che ha modo di conoscere Charcot e di essere affascinato dalle sperimentazioni spettacolari con l'ipnosi condotte da quest'ultimo, verso il quale invece Janet, pur con molto rispetto, ma con altrettanto spirito critico, era piuttosto perplesso. Quindi, mentre Janet era ormai famoso in questo campo, Freud era un semplice apprendista sul piano teorico, mentre su quello terapeutico era quel Freud che consigliava la cocaina come panacea per tutti i mali (l'aveva consigliata anche alla moglie "per darti forza e colorirti le guance") e non solo per via orale, ma anche per via sottocutanea. Modalità pubblicizzata da Freud in una conferenza del 1885, il cui testo Freud farà scomparire successivamente dalle sue opere, dopo le numerose accuse da parte del mondo medico viennese che l'accusava di imprudenza e di imperizia perché non aveva valutato il rischio della dipendenza e del passaggio, non infrequente e ben più grave, alla morfina.
Questi dati comportano una prima fondamentale riflessione: il profondo rispetto da parte di Janet per i pazienti, e l'uso spregiudicato che Freud invece ne faceva e ne continuerà a fare.
Inoltre quando Janet, nel 1886, pubblica il caso Lucie, Freud doveva ancora scrivere quella breve e banale voce sull'isteria per il dizionario medico (tedesco).
E quando Janet pubblica nel 1889 L'automatisme psychologique, a cui segue nel 1892 L'état mental des hystériques, che segnano una chiara, precisa, meticolosa descrizione della psicologia, della psicopatologia e della cura, Freud doveva ancora pubblicare i suoi primi lavori. Successivamente P. Janet, a parte numerosi articoli, pubblicherà altre due opere fondamentali: Névroses et idées fixes (1898) e Les obsessions et la psychasténìe (1903).
Gli Studi sull'isteria di Breuer e Freud sono invece del 1895 e, salvo qualche breve, banale articolo del '93-'94, costituiscono infatti il primo vero tentativo da parte di Freud di sistematizzare le sue osservazioni.
Cioè ben 9 anni dopo il caso di Lucie, e dopo almeno 3 anni dalla edizione dell'opera più sistematica di Janet sull'isteria.
Parlare di priorità da parte di Freud è assolutamente impossibile, ma l'astuto Freud già prepara il terreno per la falsificazione. Nel lavoro del 1893 Meccanismo psichico dei fenomeni isterici, egli afferma "... Quando nel 1886 io ritornai da un periodo di studi compiuti presso Charcot, cominciai ad osservare attentamente, in stretta collaborazione con Breuer, un gran numero di pazienti isterici ... ". Il che vuol dire che fino ad allora non se ne era mai occupato, mentre Janet aveva pubblicato già brevi casi, di questi il più importante è proprio il caso Lucie del 1886. Ma l'astuto Freud pone già il seme per le future falsificazioni. Qualche riga prima così si esprime: " ... il dottor Breuer, fra il 1880 e il 1882, prese in cura una giovane donna... Questo caso manterrà una posizione importante nella storia dell'isteria, perché fu il primo in cui il medico riuscì a chiarire tutti i sintomi... si potrebbe dire che questo fu il primo caso d'isteria resa intellegibile". È il famoso caso di Anna O. Come si vede, non potendo spudoratamente dichiararsi l'iniziatore di questa nuova prassi, l'attribuisce a Breuer. Molti sanno quale fu la drammatica evoluzione di questo caso che, comunque, non essendo mai stato pubblicato, poteva prestarsi a qualsiasi manipolazione. Come di fatto regolarmente avvenne.
È vero che nel 1894, nel lavoro Neuropsicosi da difesa, Freud afferma: " ... l'ipotesi di una scissione della coscienza con conseguente formazione di gruppi psichici separati è un dato che gli eccellenti lavori di P. Janet, J. Breuer e altri dovrebbero avere ormai ottenuto il generale consenso". Ed ancora più ampiamente egli dovrà riconoscere, nel lavoro del 1895, che "... Janet, al quale la dottrina dell'isteria tanto deve e con il quale concordiamo in quasi tutti i punti, ha sviluppato a questo proposito un'ipotesi che non possiamo fare nostra" (vol. 1, pag. 374). Ma se in questi anni Freud è costretto per evidenti motivi a riconoscere il merito e la priorità di Janet, ben presto potrà negare, quando definirà questo metodo, con cui tanto concorda, "psicoanalisi", in contrapposizione a quello di Janet di "analisi psicologica". Con questo gioco di prestigio egli può proporsi come il creatore e l'iniziatore del nuovo corso nel campo della psicologia e porsi come Maestro onnipotente, il successore di Mosè che non si fermerà alle porte della terra promessa, ma porterà il mondo alla scoperta di questa nuova terra promessa che è la conoscenza della psicologia del profondo. Sicuramente nel campo della teorizzazione Freud si diversificherà ed amplierà le tematiche rispetto a quelle di Janet, ma la tendenza a falsificare i dati e sottomettere questi (o i pazienti da cui derivano i fatti) alla propria ideologia, rimarrà una costante del metodo di Freud.
L'onestà intellettuale portava, invece, Janet ad attenersi scrupolosamente a quanto osservava nella sua pratica clinica che egli sottoponeva continuamente al vaglio della critica e della verifica. E Janet ha ragione da vendere quando contesterà alla psicoanalisi la mancanza di rigore scientifico, l'impossibilità di una verifica, tanto da trasformarsi in sistema metafisico. Con circa un secolo di anticipo Janet propone chiaramente e lucidamente tutte le trappole e i trucchi metodologici della psicoanalisi, utilizzando quegli stessi argomenti che molti anni dopo, e molto faticosamente, serviranno ad evidenziare le incongruenze e le falsità della metodologia freudiana.
Janet, nato filosofo, si era trasformato in medico per poter avere una metodologia precisa; Freud, nato medico, tenterà di diventare filosofo, con le conseguenze che tutti conoscono. Oggi le intuizioni di Janet, pur con i limiti del tempo, possono essere riprese: quelle di Freud sono praticamente inservibili.
Infine, un ulteriore elemento di opposizione tra i due riguarda la terapia. Janet crede nella possibilità di una guarigione e si adopera in tutti i modi per poter permettere al paziente, anche se con modalità diverse, di ottenere questo miglioramento. Egli lavora con i pazienti, Freud invece li usa, piegando loro ed i fenomeni osservati alla sua metapsicologia: e predicando dapprima una possibile trasformazione, giunge alla fine al pessimismo terapeutico più assoluto. A fronte del quale la "direzione d'anima" di Janet è perlomeno espressione di interesse e di umanità.
Negli anni che vanno dal 1874 al 1896 si condensano esperienze diverse, su
piani diversi ma ugualmente importanti e, forse, con una matrice comune, nel
fertile quadro dell'avanzata positivista e dei contrasti dialettici che essa
provoca.
Nel 1874 Claude Monet espone "Impression ? Soleil levant", un quadro che rappresenta
il sorgere del sole (per alcuni, invece piuttosto il tramonto) e che fa subito
scandalo. La critica tradizionalista definisce ìronicamente "impressionista",
appunto, il nuovo linguaggio figurativo adoperato da un gruppo di giovani pittori,
che, esclusi sia dai Salons ufficiali che da quello dei cosiddetti "refusés",
trovano ospitalità solo presso lo studio del fotografo Nadar per la loro prima
mostra.
La cultura ufficiale percepisce chiaramente la modernità di Monet, la rottura
operata nell'ambito della struttura accademico?disegnativa della pittura classica.
L'artista smonta il tradizionale schema formale di riferimento a favore della
registrazione pura e semplice del cosiddetto "choc percettivo", dell'immagine
retinica immediata, dell'esperienza visiva diretta del reale, senza la mediazione
della forma, che si esprime attraverso l'urto del colore, steso a tratti rapidi,
fluido, mutevole e cangiante come il riflesso della luce sull'acqua.
Sempre a Le Havre, dieci anni dopo, Pierre Janet inizia i primi esperimenti
terapeutici su Léonie, operando anch'egli una rottura. Propone una cura basata
sull'osservazione diretta, sui dati empirici che il paziente ogni volta fa registrare.
Con minuzioso scrupolo Janet, rigorosamente da solo, perché conscio del rischio
dì influenze esterne nonché della falsificante spettacolarizzazione operata
da Charcot, annota parole e gesti del malato, secondo il metodo da lui stesso
definito "della penna stilografica", inserendoli nella globalità di un'anamnesi
particolareggiata e completa. Questo metodo, tipico del medico?"philosophe",
ovvio all'occhio di oggi, costituisce in realtà una proposta scientifica assolutamente
nuova per un'epoca avvezza a manipolare le storie o in chiave di pathos
romantico o in chiave riduttivamente naturalistica.
Janet, invece, prova e riprova nel tentativo di ricucire brani di vissuto non
integrati, non correttamente associati e quindi privi di un rapporto organico
con la realtà, quella che più tardi verrà chiamata fonction du réel (presentificazione).
La memoria (le memorie) di Léonie, le sue diverse personalità si pongono quali
flash percettivi disaggregati, come se, è lecito azzardare, ogni singola virgola
di colore di Monet rimanesse sciolta, sintatticamente, dal contesto (dei suoi
complementari, ad es.) che appunto si costituisce, come in una personalità realmente
integrata, attraverso l'aggregazione corretta di ogni singolo dato emozionale.
Nel 1896, Henri Bergson, amico personale di Janet, in Matière et mémoire
propone, attraverso la nozione di élan vital, un'immagine della materia
vivente come memoria, come un presente che vive del passato, e quindi del tempo
come durata. La stessa durata che consente ancora a Monet di dipingere
la famosa serie delle Cattedrali, cioè la cattedrale di Rouen rappresentata
in diverse ore del giorno, in diverse situazioni di luce come a visualizzare,
questa volta, il tempo dell'impressione più che l'istantaneità percettiva.
È il segno del passaggio dall'immagine "esterna" a quella "interiore".
L'intuizione bergsoniana, intesa come conoscenza interna, dinamica, nasce
perciò non da uno stato a-logico o pre-logico, ma dal superamento dell'analisi
e della riflessione intellettuale verso un possesso della realtà che abbia la
concretezza dell'esperienza immediata Janet la chiama "appréhénsion").
Il concetto di presentificazione in Janet è assimilabile alla funzione
più alta nella sua gerarchia dei fenomeni psicologici, quella fonction du
réel, molla della comprensione, che presuppone la massima energia, la massima
tensione.
L'azione è dunque la finalità più alta, "ultima", mentre, paradossalmente ma
non troppo, l'angoscia rappresenta lo stato "primo" perché più basso, una sorta
di grado zero, quasi un vuoto.
Ma il vuoto non esiste per Janet, così come non esiste l'oblio poiché
nel continuum, nel flusso dinamico del tempo-memoria-durata, nulla può
perdersi.
Janet, infatti, non trascura nulla. Il suo occhio "clinico", quello che vede
la realtà latente dei pazienti, è anche capace di cogliere più ampiamente lo
spirito di quei tempi, in cui all'immagine di un individuo-indiviso si va sostituendo
quella di un uomo molteplice, complesso e in movimento.
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CENTRO DI PSICOTERAPIA DINAMICA
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